Il progetto allestitivo del Museo


Il Museo della Navigazione nelle Acque interne – MNAI, museo civico del Comune di Capodimonte, è il risultato di un lungo lavoro di ricerca svolto da un team di studiosi della Soprintendenza archeologica per l’Etruria meridionale e della Cooperativa Arx. Inaugurato nel 2010, si presenta come un museo all’avanguardia, molto diverso dal classico museo di oggetti. Il MNAI, invece, è soprattutto un museo di racconti. Ogni storia serve a dare al visitatore un quadro generale della navigazione nelle acque interne dalla preistoria ai giorni nostri. L’idea di creare un museo di questo tipo è nata gradualmente, dopo il rinvenimento, nel 1989, della piroga dell’età del bronzo recente/finale (1365-1020 a.C.), presso l’Isola Bisentina, che è il reperto più antico e più prezioso custodito in questo museo.

I curatori, Enrico e Anna Maria Conti, e la funzionaria della Soprintendenza archeologica che ha supervisionato il progetto, Patrizia Petitti, hanno creato per la piroga un allestimento straordinario*: l’ambientazione della sala della piroga lascia stupiti i Visitatori per il pavimento in cristallo che richiama la superficie lacustre, sotto la quale si intravvede il fondale, ricreato in resina. La piroga sembra quindi galleggiare sull’acqua, mentre la gigantografia del lago sullo sfondo, con l’Isola Bisentina che campeggia al centro, contestualizza il reperto.

Il museo non ha solo carattere locale ma si incentra su temi di archeologia e storia navale che interessano tutta l’Italia centrale con riferimenti anche ad altre aree geografiche. La storia della navigazione in Italia centrale inizia dalla piroga dell’isola Bisentina per poi proseguire attraverso le storie rappresentate da sette modellini di imbarcazioni di varie epoche e di varie regioni dell’Italia centrale, realizzati da Carlo Brignola.

Il nuovo allestimento**

  • I nuovi modellini

Ai sette modellini realizzati da Carlo Brignola per l’allestimento originario, si sono aggiunti, di recente, altre preziose riproduzioni donate da Marco Bonino, uno dei più autorevoli studiosi di Archeologia e Architettura navale, da lui stesso realizzate per alcuni studi che hanno segnato la storia degli sviluppi dell’archeologia navale: si tratta dei modellini in scala del Fassone dello Stagno di Cabras, tipica imbarcazione sarda, di un Carabus (barca di vimini rivestita di pelli) di età romana, proveniente dalla zona del Delta del Po, di tre piroghe monòssile piemontesi da Mercurago (lago Maggiore), dal lago di Monate e dal lago di Bertignano, e di una piroga monòssila da Angera (lago di Verbano), le cui datazioni coprono un arco cronologico compreso tra l’età del ferro e l’età storica. La collezione si chiude con un modellino di barca cicladica (antica età del bronzo), riprodotta prendendo spunto da modellini di terracotta provenienti da Palaikastro e Mochlos (Creta), che rappresenta la fusione tra la monòssila, che costituisce il fondo della barca, e le sponde fatte di tavole, quindi una sorta di anello di congiunzione tra le due differenti tecnologie di costruzione navale.

  • Le barche tradizionali da diporto e da pesca

Nel biennio 2017/18 il museo è stato oggetto di importanti ampliamenti del proprio apparato espositivo grazie da un lato a ricerche svolte dal principio del 2018 sul territorio laziale ed umbro, che hanno condotto all’individuazione di alcune interessanti barche storiche, in seguito acquisite dal MNAI.

La “Sabatina” del Lago di Bracciano

La prima delle nuove barche acquisite non è una barca da lavoro, ma da diporto, tipica del lago di Bracciano. Si tratta della barca a vela conosciuta come “Sabatina”, creata negli anni Trenta dai fratelli Eugenio e Giuseppe Cerocchi e da Federico Zunini, per le gare veliche locali. L’esemplare ora esposto al museo è la Sabatina 22, realizzata in compensato marino. Grazie alle informazioni ottenute dagli eredi dei Fratelli Cerocchi, si è potuti risalire anche al nome  dell’artigiano che l’ha realizzata, probabilmente durante gli anni Settanta,  Roberto Scanu. La barca è stata donata al museo da Andrea Balestri, responsabile del centro Hydra Ricerche di Trevignano Romano.

Uno degli ideatori della Sabatina, Eugenio Cerocchi, al timone della sua barca.

Barca da pesca da Trevignano Romano, Lago di Bracciano 

Anche la seconda barca musealizzata proviene dal lago di Bracciano. Si tratta della tipica barca da pesca con prua “a punta” che apparteneva ad un pescatore di Trevignano Romano, Sergio Gazzella, detto Sese’, come riportato sulla prua del natante. Questa imbarcazione, che è solo uno dei due tipi in uso nel lago di Bracciano (l’altro è la cosiddetta “battana”, con la prua tagliata), è molto simile come forma alla barca del lago di Bolsena, ma è di dimensioni più piccole, tra i 4 e i 5 metri di lunghezza (contro i quasi sette metri della barca del lago di Bolsena). Inoltre i remi non sono posizionati su scalmi asimmetrici, come nelle barche del Lago di Bolsena, ma su scalmi simmetrici.
Questo tipo di imbarcazione è influenzata dai modelli fluviali, con specchio a prua e trincarino. Oltre a questo tipo di barca, sul Lago di Bracciano, in particolare nella zona di Anguillara Sabazia, era più diffusa la “battana”, una barca strutturalmente simile, ma con specchi identici a poppa e a prua.
L’aspetto interessante dell’acquisizione di questa barca è stata la valenza simbolica dell’azione: la musealizzazione, per la comunità di Trevignano Romano, è stata motivo di commozione e di gioia perché al di là del valore documentario dell’imbarcazione tipica, insieme alla barca di Sesé, che era rimasta ferma sei anni dopo la scomparsa del suo proprietario.

La barca del Lago di Bracciano

Barchino del Lago di Fondi

L’ultima barca acquisita dal museo, grazie all’interessamento della Prof.ssa Giulia Rita Eugenia Forte e alla generosa collaborazione del mecenate Mario Bordo, è il  “barchino” esposto nel Museo di Capodimonte. La barca è della tipologia più diffusa a Fondi; era di proprietà di Augusto Velletri, classe 1940 (non più in vita).  Misura 4 metri di lunghezza e circa 1 metro di larghezza. L’essenza utilizzata è l’abete per la struttura portante e l’olivo per le matere, cioè gli elementi che collegano le sponde al fondo. Fu costruita nel 1990 dall’artigiano Tonino Parisella, classe 1934, vivente, costruttore di numerosi barchini.

Un barchino del Lago di Fondi in una scena del film del 1954, “Giorni d’amore”, di Giuseppe De Sanctis, con Marcello Mastroianni e Marina Vlady

  • La collezione etnografica

L’ultima sala espositiva, ex Mediateca, dal 2017 è stata interamente dedicata al tema della pesca. Grazie alle donazioni di alcuni privati cittadini, dallo scorso anno, e in particolare in questi ultimi mesi, l’esposizione museale si è arricchita con una suggestiva collezione etnografica formata da due distinte raccolte: la prima è costituita da un cospicuo gruppo di pesi da rete fittili, usati dai pescatori locali per zavorrare le reti fino agli anni Cinquanta, dono di Piero Carosi, già funzionario della RAI, recentemente scomparso; la seconda è composta da una serie di oggetti legati alla vita dei pescatori del lago di Bolsena, donati al museo da Mario Bordo, esponente di un’antica famiglia di pescatori bolsenesi, che comprende vari tipi di reti: artavelli, dirlindane o turlindane (strumenti per la pesca a traino), filarelle o palàmiti, per catturare le anguille, e oggetti vari della vita quotidiana, tra cui la tipica “pignatta” per cucinare la zuppa di pesce di lago, la famosa “sbroscia” del lago di Bolsena. Completano la nuova esposizione due splendidi diorami, realizzati dallo stesso Mario Bordo, che illustrano i tradizionali insediamenti dei pescatori con le suggestive “cappanne”, fatte di canne palustri, usate dai pescatori fino agli anni ’60 e ’70.

Altre reti da pesca sono state donate al museo dall’anziano pescatore Elio Natali, uno degli ultimi rappresentanti del vecchio mondo dei pescatori del lago di Bolsena, oggi quasi tutti concentrati nel suggestivo Borgo dei Pescatori di Marta.

*Il progetto di allestimento architettonico è opera dell’Arch. Enrico Conti con allestimenti di Novagest S.r.l. di Aversa (CE). Il progetto di allestimento scientifico e didattico originario è di Anna Maria Conti per la Società Cooperativa ARX. La supervisione e il coordinamento scientifico dell’allestimento è di Patrizia Petitti, Soprintendenza Archeologia del Lazio e dell’Etruria Meridionale.

**Gli ampliamenti dell’esposizione, a partire dal 2017, sono stati curati da Caterina Pisu, direttore scientifico del MNAI dal 2016.